Intervista a Dino Zoff: “La sua leggendaria carriera, tra gli attrezzi del mestiere”

Intervista a Dino Zoff: “La sua leggendaria carriera, tra gli attrezzi del mestiere”

Dino era un bambino che aveva solo un desiderio: quello di fare il portiere. Il piccolo studiava con profitto, ma quando usciva da scuola correva subito dagli amichetti per buttarsi ovunque, cercando di parare ogni pallone. Papà Mario e mamma Anna erano stati molto chiari con lui: «O studi con profitto o lavori».Il ragazzino non scelse una cosa sola, ma volenteroso qual era decise di fare (e bene) tutte e due le cose: studente e motorista meccanico. Dino però, sognava solo di diventare un grande portiere. Era bravo, ma aveva una limitazione fisica, fondamentale per chi aspira a fare il portiere professionista. Lui era piccolo e gracile per i suoi quattordici anni. Diversi osservatori, alcuni delle migliori squadre italiane vennero a visionarlo, addirittura si era mosso il leggendario Meazza per l’Inter, ma poi lo scartavano tutti, dicevano che era bravo, ma era pur sempre un “portierino”. La mamma allarmata per la crescita, ricorse ad un rimedio naturale, una cura a base di uova. Uova o non uova Dino cresceva e nel momento che stava diventando un buon meccanico, esplose fisicamente, diventando alto e grosso. Giocava nella Marianese e se ne accorse l’Udinese che era a pochi chilometri da casa, che lo ingaggiò e lo lanciò in Serie A. Poi la carriera di Zoff diventò una cosa seria, prima con il trasferimento al Mantova e poi al Napoli. Arrivò il passaggio alla Juventus e negli anni Dino Zoff diventò prima “SuperDino”, e poi “Il Mito” per tutti. Gli anni bianconeri sono stati memorabili, vissuti in simbiosi con la maglia della nazionale azzurra, quelli in cui Zoff diventò inamovibile ed insostituibile per ogni allenatore. Zoff condivideva la sua carriera bianconera a quella azzurra, parallelamente giocava in bianconero e in azzurro senza quasi mai saltare un incontro. I suoi “12esimi” raramente potevano vantarsi di indossare la maglia numero 1 della Juventus e dell’Italia. Nel 1973 Zoff sfiorava la conquista del Pallone d’Oro, doveva arrendersi solo al mito di Johan Cruyff dell’Ajax. Nasceva cosi “Il Mito Azzurro” con la conquista della Coppa del Mondo in Spagna nel 1982, che lo vedeva protagonista a 40 anni suonati di una vittoria inaspettata e leggendaria. Si ritirava il 2 giugno 1983 accettando di allenare i portieri della Juventus, poi assumeva la guida della nazionale olimpica, che si qualificava imbattuta per i Giochi 1988 di Seul (lasciava il posto a Rocca, che naufragava con la squadra a Seul). Tornava alla Juventus richiamato da Boniperti. Un quarto e un terzo posto in campionato e la conquista di Coppa Italia e Coppa Uefa, non bastavano a Dino per meritarsi la riconferma. Dino per la prima volta non si sentiva più a casa sua e decideva trasferirsi alla Lazio, chiamato dai fratelli Calleri. Quattro stagioni sulla panchina biancoceleste, con Calleri e poi con Cragnotti preludevano ad un nuovo ruolo per Dino, quello di presidente della Lazio, abbandonato poi per pochi mesi (nel 1997) per rimpiazzare in panchina Zeman e trascinare i biancocelesti dal dodicesimo al 4º posto, conquistando la qualificazione in Europa. Due anni più tardi arrivava l’offerta per guidare la nazionale maggiore. Poteva essere il coronamento di una carriera straordinaria, che Zoff festeggiava conquistando la qualificazione per l’Europeo. In Olanda l’Italia si spingeva sino alla finale con la Francia, arrivava ad un passo dal titolo ma si faceva raggiungere sul pareggio al 90′ per poi capitolare al “golden-gol” di Trezeguet. Una sconfitta onorevole e rocambolesca che non sembrava comunque compromettere le quotazioni di Zoff in nazionale, sul quale si abbattevano però poche ore dopo le critiche di Silvio Berlusconi, al quale Zoff replicava indignato presentando alla Figc le sue immediate dimissioni. Per Dino era di nuovo pronto un ruolo alla Lazio, ormai casa sua a tutti gli effetti sia Roma che il “Centro Sportivo di Formello”. Subentrava a Eriksson, che aveva scelto l’incarico di commissario tecnico dell’Inghilterra, riuscendo a portare la Lazio fino al 3º posto (qualificazione in Champions League). Friulano e torinese d’azione così dicevano, ma Dino e sua moglie hanno scelto da anni di stabilirsi a Roma, che amano come un qualsiasi romano di nascita.

La redazione di “1900 History” ed una rappresentanza del “Lazio Museum”, l’ha incontrato. Dino ci ha ospitato presso il “Circolo Canottieri Aniene” di cui è socio. Trovarcelo di fronte ci ha creato più di un imbarazzo, poi ci siamo sciolti ed abbiamo preso confidenza con il “Mito”. Dino è in splendida forma e si allena quasi ogni giorno. Lo abbiamo intervistato.

Salve Zoff e grazie della sua disponibilità. «Ma grazie a voi, ma datemi del tu…».

Dino ti hanno chiesto di tutto in questi anni. Noi vogliamo essere originali e ti chiederemo di rispondere a qualcosa d’inedito, almeno ci proviamo. Ci parli del tuo abbigliamento tecnico indossato in carriera? Per esempio, hai sempre usato i guanti da portiere? «Devo dire che inizialmente quando si giocava con il pallone da cuoio, quello di vero cuoio dal color giallognolo, si utilizzavano i guanti che presentavano sulla parte palmare un rivestimento simile a quello utilizzato per le racchette da “ping pong”, che permetteva di bloccare agevolmente la sfera. Successivamente con l’introduzione dei palloni di un cuoio più leggero, per intenderci quelli bianchi con esagoni neri, gli stessi presentavano un tipo di superficie lucida e scivolosa, che non si adattava a quel tipo di guanti con la retina da ping pong, la palla scappava sempre dalle mani. Allora cosa fare? Se pioveva giocavo a mani nude e se non pioveva indossavo un paio di guanti tipo quelli da giardinieri, che mi arrivano confezionati da un artigiano di Fiorenzuola».

E delle tue maglie da portiere cosa ci dici Dino? «Il mio colore preferito è sempre stato il nero. Alcune volte ho indossato anche il verde, ma il nero era il top. In nazionale invece il colore di sempre utilizzato dai portieri dell’Italia è stato il grigio, quindi mi adattavo a quello. E poi con il grigio ci ho vinto una Coppa del Mondo. Invece le maglie degli esordi juventini vennero prodotte da un artigiano di Torino, poi subentrò la “Robe di Kappa” e le fornitura spettò a loro. Le maglie del mio periodo fino al 1980 erano in lanetta prima pesante e poi leggera. Io sotto la casacca indossavo sempre una “maglia della salute” a mezze maniche, pesante d’inverno e fresca d’estate. Poi dal campionato 1980/81 le mie maglie erano di un tessuto quasi sintetico, della Ulshport».

Quali tipo di scarpini sceglievi? «Allora, prima dell’avvento del calcio moderno me li facevo fare da un artigiano locale, vicino Torino. Successivamente con l’arrivo delle grandi multinazionali che realizzavano scarpini e guanti, tutto divenne all’insegna della commercializzazione del prodotto. Per esempio, ai Mondiali di Spagna ’82 indossavo guanti Uhlsport e scarpini Lotto».

Salutandoti, a proposito di maglie, quale maglia della Lazio ti piace di più? «Senza dubbio quella con “l’aquila sul petto”, se avessi giocato nella Lazio avrei desiderato di indossarla nera, con l’aquila stilizzata».

Grazie Dino, i laziali ti vogliono bene.

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