L’eroe mascherato di Bucarest, Emilson Cribari

L’eroe mascherato di Bucarest, Emilson Cribari

Che cos’è un eroe? È un individuo dotato di un grande talento e straordinario coraggio, che sa scegliere il bene al posto del male, che sacrifica sé stesso per salvare gli altri, ma soprattutto… che agisce quando ha tutto da perdere e nulla da guadagnare. (dal film, “Lo chiamavano Jeeg Robot”). E come Hiroshi Shiba, l’eroe del famoso manga giapponese, necessitava di una trasformazione robotica per diventare l’indistruttibile Jeeg, anche un ex giocatore biancoceleste è passato alla storia come l’eroe mascherato che voleva conquistare Bucarest. Era Il 14 agosto 2007, giorno della sfida d’andata a Roma con la Dinamo Bucarest (1-1), gara preliminare di Champions League, ed il brasiliano Emílson Sánchez Cribari usciva dal campo nel primo tempo per un violento colpo al viso che in un primo momento non sembrava nulla di particolarmente serio, ed invece… In ospedale gli veniva riscontrata la frattura scomposta della mascella, dello zigomo e del pavimento orbitale. Il brasiliano rischiava addirittura di perdere un occhio, così confidava il medico sociale Bernardino Petrucci dopo il delicato intervento chirurgico. A Cribari gli venivano inserite ben 18 viti e 3 placche sul volto. Passavano i giorni e il morale del calciatore saliva perché l’intervento era perfettamente riuscito. Al ragazzo, dopo un consulto medico, veniva l’idea di provarci, di compiere qualcosa di eroico. “Mister vorrei giocare il ritorno a Bucarest”, le parole del giocatore. Il tecnico Delio Rossi inizialmente era contrario, ma poi vide la gran voglia di Cribari e ne rimase contagiato. “E’ stato un momento speciale (raccontava Cribari), del quale lì per lì non mi rendevo neanche conto. Avevo subito 12 giorni prima un’operazione terribile al volto e c’era emergenza in difesa. Mi era stata preparata una mascherina protettiva, ma rischiavo con un’altra botta di perdere la vista. L’amore per la Lazio era talmente grande che non ho avuto paura di scendere in campo in quelle condizioni, anzi ho messo in quella partita tutti i miei migliori sentimenti, quelli che poi mi hanno spinto insieme ai miei compagni a vincerla quella partita per 3-1 in terra romena”. Il ritorno in campo, come detto, era previsto per Bucarest, ma veniva anticipato di tre giorni, nella prima di campionato, incontro Lazio-Torino (2-2). Cribari subentrava a Diakite al minuto 41, con tanto di maschera in vetroresina. Successivamente su quella mascherina Emilson decideva di immortalare graficamente qualcosa di leggendario, come leggendaria fu la sua impresa: il simbolo raffigurato era l’aquila stilizzata, dipinta a mano. Cribari, a distanza di alcuni anni, di quella preziosa mascherina, ne ha fatto un cimelio iconico, simbolo del suo coraggio e del suo amore per la Lazio. Infatti, quell’oggetto lo custodisce gelosamente all’interno di una delle sue teche del suo museo personale, dove trovano spazio altri cimeli della sua carriera. Come si vede dalle foto che ci ha gentilmente inviato, traspare lo stretto legame che unisce Emilson alla Lazio e viceversa. Il suo sacrificio è passato alla storia della prima squadra della Capitale ed i tifosi laziali certo non dimenticano. Lunga vita all’eroe mascherato con l’aquila stilizzata. di Emiliano Foglia

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